Le musiche e i cori per celebrare il podio
Il valore sacrale degli inni simula una vittoria bellica, rafforza la passione dei tifosi e rilancia lo spirito di partecipazione di un’intera comunità.
[…] Questo nostro viaggio nell’indissolubile legame tra musica e sport non può che concludersi su un podio. Per di più olimpico.
È lì che risuonano gli inni dei vincitori, la certificazione dell’impresa compiuta. Quando Mameli e Novaro scrissero nel 1847 Fratelli d’Italia (allora chiamato dagli autori "L’inno degli italiani") non avrebbero mai immaginato che sarebbe diventato vibrante colonna sonora di successi sportivi: loro intendevano muovere la coscienza del nostro popolo, non caricare calciatori o lanciatori di giavellotto.

L’inno era ancora una volta legato a battaglie (per la libertà, per l’indipendenza, per l’identità), così come già da oltre mezzo secolo lo era La Marsigliese (1795) per i francesi o, da quasi due secoli, God Save the King per gli inglesi.

Ma il destino dei tempi di pace è per fortuna questo. Un canto di guerra diventa musica trascinante e dolce per le orecchie degli sportivi chiamati a confrontarsi - quanta ragione aveva Orwell - con rivali di ogni dove, in una simulazione giocosa o atletica di battaglia.
Ma quante volte, limitando il perimetro simbolico alle Olimpiadi invernali ed estive, gli atleti hanno avuto la sorte di vincere un oro, potendo ascoltare il loro inno dal gradino più alto del podio? I più fortunati e quindi i più bravi, non c’è dubbio, da Atene 1896 a Tokyo 2021 sono stati gli statunitensi: il loro The Star-Spangled Banner è stato eseguito ben 1174 volte (tanto sono in totale le medaglie d’oro vinte dagli Usa). Al secondo posto troviamo l’Unione Sovietica, che prima di scomparire, ha totalizzato 473 esecuzioni per altrettante medaglie; seguono Germania con 305, Regno Unito con 297, Cina con 284 e Francia con 263. L’Italia ha portato a casa ben 258 ori, classificandosi al settimo posto assoluto.