Eroi popolari nello sprint su due ruote
Le gare vissute anche come fenomeni sociali e di costume, come testimonia la rivalità tra Bartali e Coppi. E l’anima popolare delle bici da record.
[…] Longevità è sinonimo di classicità e di affidabilità nelle quote di mercato. Non c’è miglior biglietto da visita per il successo.
Quella stessa P, infatti, l’avremmo rivista negli anni successivi sul petto dei campioni leggendari che si sarebbero dati battaglia dopo la Grande Guerra - Ottavio Bottecchia, Alfredo Binda, Learco Guerra - e poi ancora sulle divise di Gino Bartali e Fausto Coppi, gli alfieri del ciclismo d’oro, quando una gara a tappe o una classica in linea si sarebbero trasformate in fenomeni sociali e di costume, addirittura in un modo d’intendere la politica, come accadde nel luglio del 1948, quando la vittoria di Bartali al Tour si dimostrò il miglior deterrente in grado di placare i furori rivoluzionari marxisti che si erano risvegliati dopo l’attentato a Palmiro Togliatti.

Bartali e Coppi non solo hanno riscritto a modo loro la storia del ciclismo, restituendola a quel destino di antagonismo e di dualità che, a cominciare da Romolo e Remo, contrassegna sin dagli inizi la vicenda dello spirito italico, ma sono stati i precursori di quel che sarebbe accaduto, in termini di mentalità e di approccio antropologico, nei rapporti tra le generazioni dei padri e quelle dei figli, nel conflitto tra maestri e allievi.

«Su questo dualismo ci sarebbe da scrivere a lungo e non è facile valutare le ragioni umane, professionali e sportive che lo motivano, lo acuiscono e, talora, lo traviano» commenta Giuseppe Ambrosini sul numero di maggio-giugno 1949 della «Rivista Pirelli» che ha in copertina una foto a colori con la faccia affilata di Coppi in camicia flanellata e il nasone di Bartali in doppiopetto gessato. L’articolo si intitola Bartali e Coppi: il segreto della potenza. Una stella tramonta e un’altra sorge dal limite dell’orizzonte.